Perché la diagnosi psicologica?
Nel corso della propria attività professionale, ogni psicologo effettua diagnosi come attività per descrivere e comprendere la problematica portata dal paziente.
Questo processo diviene possibile, soprattutto nelle prime fasi del percorso psicologico, attraverso il colloquio clinico e la somministrazione di test.
Ancora oggi, tuttavia, la diagnosi psicologica può assumere accezioni negative poiché percepita come un modo per iper semplificare o addirittura per patologizzare il malessere del paziente.
Obiettivi e significati della diagnosi
In realtà, il processo diagnostico si pone una pluralità di obiettivi, alcuni espliciti ed altri meno evidenti. Vediamone alcuni:
- Aiutare il professionista a stabilire e ad impostare il trattamento
- Favorire la costruzione di un’alleanza di lavoro
- “Dare un nome” alla pluralità di vissuti del paziente
- Fornire indicazioni sugli obiettivi di lavoro e sulla durata del percorso
Molto spesso, nella pratica clinica, lo psicologo può effettuare una diagnosi partendo dai sintomi riportati dal paziente per poi inserirli all’interno di specifiche categorie diagnostiche. Tale modalità ha una valenza prettamente descrittiva e si avvicina molto alla comune diagnosi medica-psichiatrica. In questo caso, viene fatto riferimento al Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM- 5) come sistema di riferimento per fotografare e descrivere i sintomi del paziente.
Limiti della diagnosi categoriale
Esistono, tuttavia, dei limiti evidenti della diagnosi descrittiva e categoriale:
- Non viene offerta una spiegazione dell’origine dei sintomi
- Non si tiene conto dell’estrema variabilità e delle caratteristiche uniche e soggettive della persona
- Non viene considerato il contesto di vita del paziente, contesto che può scatenare e/o mantenere la sintomatologia
- Effetto iatrogeno: molti pazienti, inseriti in una certa categoria diagnostica, potrebbero finire per sentirsi realmente in quel modo. Ad esempio, se una persona viene diagnosticata come depressa, è possibile che con il tempo alcuni vissuti quali stanchezza, bassa autostima, senso di colpa vengano percepiti e vissuti da quest’ultima come un’effetto della propria malattia
- Stigma sociale: la persona una volta ricevuta la diagnosi, potrebbe sentirsi etichettata se non addirittura emarginata in quanto “patologica”o persino “pericolosa per se stessa e per gli altri”
In sintesi, un adeguato processo diagnostico, oltre a favorire una positiva e solida alleanza di lavoro tra psicologo e paziente, deve tenere conto del significato soggettivo che un certo sintomo manifesto può avere per quella persona. Quest’ultima, infatti, ha uno specifico funzionamento (personale, familiare, lavorativo e sociale); è dotata di differenti risorse e caratteristiche di personalità. Si tratta, dunque, di una pluralità di elementi che il clinico è tenuto necessariamente a considerare, andando così ben oltre al sintomo.
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